1952 /2022 –A 70 ANNI DALL’ACCOPPIATA GIRO D’ITALIA E TOUR DE FRANCE REALIZZATA DA FAUSTO COPPI NELLO STESSO ANNO.
Nel 1952 Fausto Coppi realizza la seconda accoppiata Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno, dopo quella già ottenuta nel 1949 quale primo italiano a conquistare questo primato. Dopo di lui solo Jacques Anquetil (nel 1964), Eddy Merckx (nel 1970, 1972 e 1974), Bernard Hinault (nel 1982 e 1985), Stephen Roche (nel 1987), Miguel Indurain (1992 e 1993) e Marco Pantani (nel 1998) che è stato l’ultimo corridore ciclista, per giunta italiano, ad aggiudicarsi la vittoria del Giro e del Tour nello stesso anno.
1942/2022 — AD 80 ANNI DAL RECORD DELL’ORA CONQUISTATO DA FAUSTO COPPI AL VELODROMO VIGORELLI DI MILANO
Lo storico record di Fausto Coppi del 1942, in piena seconda guerra mondiale, conquistato il 7 Novembre al Velodromo Vigorelli di Milano fissa il primato a 45,798 chilometri. Pur migliorando il record precedente di soli 31 metri, il primato di Coppi durerà per ben 14 anni, e fu il francese Jacques Anquetil ad infrangerlo. Tuttavia, in quello stesso anno, l’italiano Ercole Baldini riportò in Italia il record, pur essendo ancora dilettante.
A seguire Fausto Coppi al Giro d’Italia e al Tour de France del 1952 tratto da “COPPI CONTRO BARTALI” di Claudio Gregori, Diarkos Editore e il Record dell’Ora del Campionissimo del 1942 narrato da Mauro Colombo nel romanzo “L’ORA DEL FAUSTO”, Editore Ediciclo/Battiti
Da “COPPI CONTRO BARTALI” di Claudio Gregori – Diarkos Editore
Il bucaneve rosa – GIRO D’ITALIA 1952
«Spiritus durissima coquit», «Un cuore valoroso digerisce le prove più dure», è il motto inventato da Paolo Giovio quattro secoli fa. E il cuore di Coppi è valoroso. Per due stagioni si è dibattuto nel gorgo del dolore. Ma non si è arreso.
Al via del Giro 1952 Fausto Coppi si presenta senza vittorie. Eppure c’è. Il 13 aprile è il migliore nella Parigi-Roubaix, ma viene bruciato da Rik Van Steenbergen al termine di un duello sensazionale Coppi impone un ritmo insostenibile. Solo Van Steenbergen riesce a resistere. Coppi lo attacca una, due, tre, dieci volte. Sulla côte d’Hem Rik è sul punto di cedere, ma con una torsione titanica si riporta sotto. Si aggrappa alla scia di Coppi come a una gomena di salvezza. Nel finale Coppi non tira più. Rik nemmeno. Così Andrè Mahé si avvicina. La volata non ha storia. Vince Rik, Coppi è secondo, Mahé terzo a 11”. «L’Équipe» titola a tutta pagina: «Pour triompher du grand FAUSTO COPPI, il fallait UN ÉBLOUISSANT VAN STEENBERGEN», «Per battere il grande Coppi occorreva un meraviglioso Van Steenbergen».
E Bartali? In avvio di stagione coglie due successi. Il 18 aprile si impone nella Caserta-Salerno della Roma-Napoli-Roma. E il primo maggio nel giro dell’Emilia riporta una grande vittoria su Coppi. Bartali va via solo sull’Abetone. Sul Barigazzo arriva ad avere 3’05” di vantaggio. Poi Coppi, aiutato da Minardi, lottando col vento, si fa sotto. Ma Bartali lo fulmina allo sprint.
Al Giro, però, la grande sfida è Coppi contro Koblet. Altri squali sono pronti a divorarli: Magni, il campione del mondo Kubler, Van Steenbergen e l’immarcescibile Bartali. Nella Bianchi di Coppi c’è Geminiani, un guerriero rotto a tutte le prove, una mente fertile, un polemista irriducibile. Le Grand Fusil, appunto.
Il 17 maggio il Giro si apre con una grande battaglia nella Milano-Bologna. Bartali viene sorpreso da un attacco portato da Coppi, Koblet, Kubler e Magni. Si difende da leone, ma il suo ritardo sale no a 1’20”. Poi Koblet fora e, con quel grande alleato, il distacco scende a 16”. Albani vince la tappa, battendo Magni e Coppi in una volata convulsa e irregolare. Oltre il traguardo Magni aggredisce Kubler e lo percuote. I due vengono separati a fatica. La giuria declassa Kubler all’ultimo posto e lo multa di duemila lire «per danneggiamento». Magni, cui viene riconosciuta l’attenuante della provocazione, deve pagare cinquemila lire «per essere passato a vie di fatto». Quel giorno Gianni Brera, nella sua rubrica Giornale di bordo, inventa per Albani, giovane, occhialuto e gentile, un soprannome che diventerà famoso: abatino.
È un Giro effervescente. Nella Bologna-Montecatini, sull’Abetone, dietro a nove fuggitivi, si scatena la battaglia: Bartali passa primo in cima con 3” su Coppi, 10” su Bernardo Ruiz, 15” su Kubler, 25” su Minardi, 55” su Magni e Koblet. Magni si riporta su Bartali, Coppi e Kubler in discesa. Koblet no. Sprofonda sul Colle Oppio. Lo attaccano in cinque senza pietà: Kubler, Coppi, Magni, Bartali e la maglia rosa Albani. A 1’42” dagli otto fuggitivi, battuti in volata da Conterno, Coppi precede Bartali. Koblet arriva a 6’20”, Van Steenbergen a 20’58”, un distacco che lo toglie dalla lotta per la vittoria.
Al Giro c’è la vita e la morte, la speranza e la disperazione. A Siena Toni Bevilacqua batte Ockers in volata e il ventenne Nino De lippis, il più giovane del Giro, veste la maglia rosa. Ma, scriverà Anna Maria Ortese, «Il Giro sfiora spesso le rive dolci e smemorate della morte». Nella discesa della Merluzza, infatti, sulla strada di Roma, Orfeo Ponsin, ventiquattro anni, terzo di otto fratelli maschi, cade, batte la testa contro un albero e si spegne all’ospedale Santo Spirito per la frattura del cranio. Era entrato nella Frejus del Giro all’ultimo momento per la malattia di Pedroni. L’anno prima era caduto nella discesa dal Passo della Mauria e si era ritirato con un’orrenda ferita al braccio, richiusa da ventiquattro punti di sutura. Brera, commosso, ne fa l’epitaffio. Coppi è scosso, rivive la tragedia di Serse. Con Bartali va a trovarlo nella camera mortuaria dell’ospedale e si commuove. Poi, insieme, Gino e Fausto, con tutto il Giro, vanno in Vaticano da Pio XII, che, nella Sala Clementina, li consola. Sono in pace, resi mansueti dal dolore. Il giorno dopo, però, riprende la guerra.
La Roma-Rocca di Papa è lunga 35 chilometri e presenta due salite, la prima da Cinecittà, 65 metri, per Frascati e Montecompatri, a Rocca Priora, 705 metri, la seconda da Ponte Squarciarelli, 360 metri, a Rocca di Papa, 640 metri. Coppi è già nettamente in testa a Rocca Priora, 20,8 chilometri: ha 21” su Astrua, 49” su Ockers, e, addirittura, 1’26” su Kubler, 1’46” su Bartali, 1’53” su Geminiani, 2’13” su Magni, 2’26” su Koblet. Quest’ultimo è il migliore nella successiva discesa, seguito da Magni e da Coppi, che si conferma il più veloce anche nell’ultima salita. Alla fine Fausto lascia a 32” Astrua, che conquista la maglia rosa, a 1’29” Ockers, a 1’59” Kubler, a 2’10” Fornara, a 2’45” Bartali. Magni perde 2’59”, Koblet 3’00”, Geminiani 3’06”, Van Steenbergen 6’10”.
Rik, ormai, punta alle tappe e fa tris: inanella i traguardi di Napoli, Riccione e Venezia. A Roccaraso c’è un guizzo di vitalità di Koblet, che guadagna due minuti agli assi. Brera si diverte e racconta l’improbabile incontro di Logli con i lupi. Il Fato, per una volta, fa un regalo a Coppi in una tappa che aveva avuto un inizio così tranquillo che Casola si era arrampicato su di un albero a cogliere ciliegie. Una caduta di Astrua a sette chilometri da Rovigo scatena l’assalto crudele degli assi. Il biellese perde 5’39”, così Coppi indossa la maglia rosa già prima delle Alpi. Era da tre anni che non la vestiva. Prova l’emozione di chi ritrova l’amata.
Ai piedi delle Dolomiti in classifica Coppi è seguito da due outsider, Zampieri a 41” e Zampini a 1’59”. Ha 1’59” su Kubler, 2’19” su Ockers, 2’59” su Magni, 3’01” su Bartali, 4’45” su Astrua, 5’45” su Geminiani, 6’23” su Koblet. Davanti alle sue ruote c’è la Venezia-Bolzano con i tre passi che ama: Falzarego, Pordoi e Sella. A Cortina tredici uomini sono in fuga e Geminiani tira la la sul Falzarego. Raffiche di pioggia. Neve fresca sulle cime. Vento gelido. Lì, su quella scena fosca, Coppi scatta. Invano Bartali e Kubler cercano di opporsi. «Ultimo a mollare, Bartali», scrive Brera «E taglia netta la strada alla Checca che deve frenare. Oriani inveisce, Tragella inveisce. Ma non c’è tempo per polemizzare. Coppi, senza sforzo apparente, ha preso a salire ormai solo». È il decollo. Mancano cento chilometri al traguardo. Coppi supera tutti, tranne il suo compagno di squadra Geminiani, che scollina primo sul Falzarego, 2105 metri. A ruota di Coppi passano Schär, Close, e Van Ende; a 15” Martini, a 35” Volpi, a 50” Zampieri, Fondelli, Ockers, Padovan. E gli assi? Bartali e Kubler hanno 1’10” di ritardo, Magni e Koblet 1’40”.
Commenta Brera: «Coppi l’ho già visto partire a quel modo sull’Aubisque, lasciando secco Robic, testa di vetro. Un elicottero, un falco che s’impenni senza battere l’ali contro vento. Non uno strappo, non un sussultio fuori dal suo ritmo, per tutti impossibile». La discesa è perfida. Coppi scende sicuro. Magni e Koblet sono due folgori. Hugo, però, ha la sfortuna di forare. Ad Arabba, 1602 metri, ai piedi del Pordoi, con Coppi sono Close, Schär, Martini e Kirchen. A 50” passano Bartali, Astrua, Kubler e Vincenzo Rossello. Koblet è a 2’10” con Zampieri, Zampini e Ockers. Geminiani è a 3’10”. Lì Coppi trasmuta in demiurgo.
Racconta Fossati:
Fausto – un’azione armoniosa ben controllata, occhio sempre vivo – scivola via. L’ultimo a reggergli alla ruota è Schär: uno strappo, un secondo strappo: Schär strabuzza gli occhi e si dà per vinto. Una bellissima immagine il Coppi solo, sotto i ghiaioni dolomitici. Un “bucaneve rosa” lo definisce un tifoso ai margini della strada.
Close supera Schär, ma da dietro ecco Bartali. Salta lo svizzero. Avanza con le sue accelerazioni violente. Irriducibile. Magnifico nella lotta contro il grande rivale e contro il Tempo. Più indietro Koblet, irriconoscibile, a onda, mentre si fa luce Geminiani. I pedali di Coppi sono dita che si muovono rapide e sapienti sulla tastiera della montagna. Su questo pianoforte immenso Fausto suona Beethoven. Una musica senza eguali. Il tifo trasforma la strada in siepe fiorita e va in deliquio. Anche il Sass Pordoi si apre un varco tra le nubi e guarda. I distacchi sono irrimediabili. Sul Pordoi, 2239 metri, Coppi ha 2’27” su Close, 3’17” su Bartali, 3’46” su Schär, 4’30” su Geminiani, 5’17” su Magni e Kubler, 7’ su Koblet. Nella discesa verso la Val di Fassa Coppi pennella le curve. Giù tra crochi, primule, anemoni e genziane, che macchiano di colore il verde dei prati. Giù tra ginepri e rododendri verso il bosco rado. Ecco più giù, all’ombra degli abeti, candidi bucaneve. A Pian de Schiavaneis, 1850 metri, Coppi trova la strada del Sella. Il suo naso s ora i ciu scuri dei cembri e si alza tra pascoli e ghiaie sotto pareti giallo-nere di dolomia. Esplora con lo sguardo la Val Lasties, che si apre a destra. Sale sotto i muri strapiombanti del Piz Ciavazes. Lì Bartali si lascia alle spalle Close e insegue Coppi. Con furia. Con fede. Indomito.
È di nuovo l’antica sfida uomo contro uomo. Sono passati dodici anni dalla prima volta! Coppi raggiunge il Passo Sella, 2224 metri, alle 15.52. Bartali passa secondo a 4’28”. Seguono Close a 4’50”, Magni a 6’25”, il sorprendente Zampini con Ockers a 6’55”, Albani a 7’10”, Schär a 7’20”. Tra gli altri Koblet è a 7’52”, Geminiani a 8’05”, Zampieri, che è caduto, a 9’05”, Astrua a 9’20”. Davanti a Coppi ci sono solo 53 chilometri di discesa. Passa sotto le Torri del Sella volando. Giù, verso la Val Gardena, verde di pascoli e boschi. Il Fato, però, è sempre insonne, così Coppi fora. Pinella è velocissimo nel cambio di ruota. Magni è spettacoloso. Sfiora le rocce. Lambisce gli abissi. Aggredisce le curve. Sui rettilinei vola agli ottanta all’ora. Raggiunge e lascia Close. Spaventa chi guarda. Perfino la sua ombra, atterrita, fugge, con la complicità delle nubi. Molto più indietro, Koblet, martoriato dal Fato, fora ancora. Nella discesa di Coppi c’è l’armonia, in quella di Magni l’impeto. Magni colma un gap di due minuti e raggiunge Bartali, che gli si mette nella scia. I missili meritano rispetto. Sono due, ora, contro Coppi, che intensifica l’azione. Con l’eleganza ora c’è la forza. Coppi sparisce nella gola che porta alla Valle dell’Isarco. Bolzano è laggiù, dove l’Isarco incontra l’Adige.
Il Giro è un rito iniziatico. Il popolo festante perde la misura tirolese. Istigate da Dioniso, bionde orenti, lasciata la Stube, urlano come Baccanti, le guance rosse come mele. Tremano i Bierbaüche, le pance dei tracannatori di birra. Vecchi, col grembiule blu, ricamato di rosso, si sporgono con foga giovanile sulla strada. C’è anche L’allegro bevitore di Frans Hals, che con la mano destra saluta. Passa il re. Brera, infatti, chiama Coppi Sua Maestà. Coppi ha il potere della metamorfosi. Così anche la tranquilla Bolzano erutta al suo passaggio. Allinea sulla strada occhi incendiati di passione. Corpi che fremono. Bocche che urlano. Mani che salutano. Un uomo solo, in quella bolgia, è trincerato in un silenzio di pietra: Cavanna al balcone dell’Hotel Vittoria. Brera lo coglie: «Alza incerto una mano per saluto. Non sorride, non parla. Una tetra angoscia gli si è dipinta sul volto. In questo istante il suo allievo si avvia alla vittoria più attesa, forse la più ambita della sua fulgida carriera. E lui non la può seguire se non nell’immenso urlo di folla che l’accompagna».
Al Druso di Bolzano irrompe Coppi. Ed è subito giro d’onore. Il pubblico in piedi applaude. Quando taglia il traguardo, Fausto viene schiacciato da un enorme mazzo di garofani rossi. È circondato, ostaggio della sua impresa. E, intanto, il cronometro, inesorabile, batte i secondi. Bartali e Magni sono staccati di 5’20”, Kubler, con sei compagni tra cui c’è Zampini, di 6’39”, Astrua e Zampieri di 8’32”, Koblet di 8’44”. «Commuove Magni, esalta la fortezza di Bartali: il loro coraggio completa il trionfo italiano. Ma Coppi, lui, ha tutti superato in questo giorno che è grande per lo sport. Se stesso e il suo destino ha superato. Ed è questa l’impresa più umanamente e nobile e bella che mai possa tentare un atleta sulla terra». Ora Coppi ha un margine di otto minuti su quattro uomini raccolti nello spazio di 40”: Magni a 8’19”, Bartali a 8’21”, Zampini e Kubler a 8’38”. Zampieri, Astrua e Koblet sono stati spazzati via dai vertici della classifica.
Il trionfo esalta. Ma mancano ancora nove tappe alla fine. E la strada del Giro riserva agguati. Van Steenbergen, ad esempio, è certo di fare poker a Como, ma Alfredo Pasotti lo beffa scattando nel sottopassaggio d’ingresso al velodromo. Dietro di loro, a tre chilometri dal traguardo, mentre inseguivano i fuggitivi, Bartali e Coppi erano coinvolti in una caduta generale e ruzzolavano a terra. La scena era drammatica, ma poi i due assi emergevano dal groviglio di corpi e biciclette con solo qualche ammaccatura. Perdevano 14”. Bartali, infuriato perché scende dal terzo al sesto posto in classifica, pretende che non si tenga conto di questo distacco e minaccia di non partire nella cronometro del giorno dopo, Erba-Como, 65 chilometri.
C’è grande attesa per questo appuntamento. Coppi è l’ultimo a prendere il via, alle 13.39, tre minuti dopo Zampini, sei dopo Ockers. Il percorso, per Malgrate e Bellagio, si svolge per tre quarti sui bordi del lago di Como. Lì si scatenano i grandi motori. A Onno, chilometro 25, Koblet, rinato, è in testa, seguito da Kubler a 2” e da Coppi a 12”. Più netti i distacchi degli altri: 31” Astrua, 51” Minardi, 52” Magni, 54” Zampini e Albani, 1’04” Bartali, 1’19” Ockers. La corsa riscopre echi manzoniani. Coppi forza lungo «quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di mondi, tutto a seni e a gol …» Proteso nella rincorsa, non ha tempo per ammirare il Resegone. E a Bellagio, chilometro 35, ha compiuto il sorpasso. Ha 2” su Koblet, 19” su Astrua, l’unico a tenere il suo passo, 51” su Kubler, 1’02” su Magni, 1’06” su Bomba Zampini, mentre Bartali ed Ockers sono a 1’14”.
Il duello tra Coppi e Koblet appassiona. Coppi è l’uomo forte del Giro, ma ora deve passare da un luogo dal nome temibile, Nesso. Fu con la tunica di Nesso, che gli diede, ignara, la bella moglie Deianira, che fu ucciso Ercole. Ma non c’è ancora una Deianira col talismano d’amore sulla strada di Coppi. Non ci sono veleni capaci di fermarlo. A Nesso, chilometro 50, Coppi volge a suo favore il duello. Ha 17” sul magni co Koblet, 48” su Astrua, 1’08” su Kubler. Solo Koblet con un grande nale potrebbe superarlo. Ma non lo fa. Coppi vola sicuro per Riva, Torno, Blerio. Irrompe a Como che vede già in fondo ai rettilinei la sagoma di Zampini. Koblet lo aspetta allo Stadio Sinigaglia. Quando entra Coppi, accompagnato da un boato, scrolla la testa. Sa di esser stato battuto. Coppi vince con 15” di vantaggio su Koblet, l’unico a reggere il confronto. Astrua è terzo a 1’19”, Kubler quarto a 1’30”, Magni quinto a 1’43”, Bartali sesto a 2’02”, lo stupefacente Zampini settimo a 2’35”. Bartali scavalca Ockers ed è quinto a 10’33” da Coppi.
Nelle ultime sei tappe non si combatte più. Nemmeno nel tappone St. Vincent-Verbania, col Gran San Bernardo, 2473 metri, tetto del Giro, e col Sempione, 2010 metri, si accende la battaglia campale. Bartali e Coppi si accontentano di passare primo e secondo sul tetto del Giro tra muri di neve. L’ultimo traguardo è di Toni Bevilacqua, che brucia Luciano Maggini e Magni. Coppi vince il Giro con 9’18” su Magni, 9’24” su Kubler, 10’29” su Zampini, 10’33” su Bartali, 10’58” su Ockers. Koblet è solo ottavo a 14’38”. Geminiani è primo nel Gran Premio della Mon- tagna, davanti a Coppi e Bartali.
Il tracollo di Koblet continua. Nel giro della Svizzera arranca. Soffre alle reni e alla vescica. Nella sesta tappa si ritira. Le visite mediche appurano che soffre di anemia aplastica. Semplificando: le cellule del midollo osseo sono danneggiate e, perciò producono un minor numero di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Se l’uomo normale possiede in media cinque milioni di globuli rossi, Koblet ne ha solo tre milioni. Questo spiega il suo cambio di scala.
Pascal e il Puy de Dôme – TOUR DE FRANCE, 17 LUGLIO 1952
Coppi è Cyrano. La sua bici è una spada. È circondato da moschettieri. Ogni giorno una sfida, mentre il suo cuore incomincia a vibrare per un impossibile amore.
Il 6 luglio lo aspetta il Sestriere, il secondo arrivo in salita. Punto di arrivo di un’ardua cavalcata. La Bourg d’Oisans-Sestrière, 182 chilometri, è la prova del fuoco. Ha cinque colli: Croix de Fer, 2067 metri, Télégraphe, 1566 metri, Galibier, 2556 metri, Monginevro, 1850 metri, e Sestrière, 2033 metri. I francesi vanno subito all’assalto. Coppi deve respingere gli attacchi di Lauredi, Geminiani, Lucien Lazaridés, Dotto sul- la Croix-de-Fer, poi del bretone Jean Le Guilly, vent’anni, sul Télégraphe e sul Galibier. Scocciato da queste punture, cambia il suo piano – aveva pensato di aspettare l’ultima salita, il Sestrière – e decide di dare una sonora lezione ai francesi.
A sette chilometri dalla cima del Galibier, allunga. Salta il coraggioso Le Guilly a quattro chilometri dalla vetta. E va solo nell’avventura. Le marmotte schiano al suo passaggio. Il cielo s’incurva sopra di lui. La maglia gialla è una pagliuzza d’oro, che si muove sulla montagna immensa. Coppi sale tra rocce scure e ghiaie coperte di neve. Tutto in lui è armonia. Scollina con 2’45” di vantaggio. Incomincia così una favolosa cavalcata di 74 chilometri. Robic passa secondo sul Monginevro. Ma fora a cinque chilometri dal traguardo e la macchina di Marcel Bidot è in panne. Sceglie di gonfiare il tubolare, invece di cambiarlo. Una scelta sbagliata. Lo deve fare cinque volte. Viene saltato da cinque uomini.
Al traguardo i distacchi sono abissali. Coppi vince nel tripudio con 7’09” su Ruiz, 9’33” su Ockers, 9’56” sulla rivelazione Le Guilly, 10’09” su Bartali. Robic perde 11’24”, Carrea 17’41”, Magni, che ha forato tre volte, 20’48”, Lauredi 23’40”. Ora in classifica un baratro lo separa dal più vicino dei suoi avversari, Close, rivelazione del Giro d’Italia: 19’57”. Carrea è terzo a 20’26”, Magni quarto a 25’18”, Bartali settimo a 26’46”. Il Tour è chiuso a dodici tappe dalla fine. Gli organizzatori, inquieti, raddoppiano il premio del secondo nella classifica generale. Ma c’è sempre del pepe nei piatti italiani, anche nei più belli. La sera del Sestriere a cena Magni parla con Binda e gli racconta:
Sul Télégraph io do la ruota a Fausto e Carrea mi supera. Nella discesa che porta all’attacco del Galibier lo ripiglio. Zambrini, che è ospite della macchina di Goddet, ordina a Carrea di non tirare. Non solo. A Briançon, quando, per una nuova foratura, Carrea mi ha lasciato, Zambrini viene a dirmi che ho più di venti minuti di distacco da Coppi. Binda vede Zambrini due tavoli più in là e va subito a interrogarlo.
La corsa è inesauribile con le sue sorprese, i suoi colpi di scena. Rientrando in Francia, nella Sestrière-Monaco, Carrea fora nel tunnel del Col di Tenda e pena molto per rientrare: pagherà quello sforzo. Sul Col de Brouis, 858 metri, fora Coppi. Magni in un lampo gli dà la ruota e resta indietro. «E adesso che succede con Bartali, se Coppi fora di nuovo?», si chiede Binda preoccupato. La strada gli risponde molto presto. Sul Col de Castillon, 728 metri, Coppi fora la seconda gomma ed è Bartali a dargli la ruota. Coppi balza in testa al gruppo e ne frena l’andatura per favorire il rientro di Bartali e Magni. Allora Binda, rivolto al suo pilota, Mario Perfetti, esclama: «Abbiamo vinto il Tour». La foto di Bartali che passa la ruota a Coppi finisce sulle pagine de «L’Équipe». È il fatto del giorno. Più della vittoria per distacco dell’olandese Nolten. Coppi e Bartali arrivano a Monaco insieme. Magni giunge a 46” da loro, Close a 4’05”, Carrea a 9’50”. Ora Coppi ha 24’02” sul secondo, Close.
Il 9 luglio Coppi ritrova il Mont Ventoux, la montagna spettrale. Lassù non crescono alberi, solo ginepri, arbusti che strisciano e rocce. Un monte pelato dal Mistral. Un posto per anacoreti e serpenti. Il sole fonde l’asfalto. Le rocce sono roventi. Il sudore riga le facce. All’attacco del Ventoux Coppi fora. Bartali si ferma per dargli la ruota, mentre Robic scatta come un indemoniato. Ma Coppi, vedendo Carrea a pochi metri, urla: «Gino vai sui primi!» E Bartali, rapido, si porta sul gruppetto di testa. Robic forza. Mulina le sue gambette da nano. Dimena il testone e stacca tutti. Infiamma il pubblico. Sulla vetta ha 2’15” su Gelabert e Bartali, 2’30” su Coppi. Robic scende come una biglia lungo la guida della strada. Rapido, sicuro. Dietro di lui si forma un gruppetto di sette uomini: Coppi e Bartali, Ockers, Gelabert e Wagtmans e i francesi Dotto e Geminiani, che non tirano. Bartali tira anche per loro e risparmia Coppi.
Ecco il Rodano. Ecco il Palazzo dei Papi che va incontro a Robic come il castello di una fiaba. Vince Testa di Vetro con 1’37” su Bartali, che brucia Geminiani con una splendida volata. Magni è nono a 3’18”. Bartali prende 2’27” a Close e 3’03” a Ruiz e li scavalca in classifica. Ora è terzo a 49” da Ockers, a 26’16” dall’invincibile Coppi. Il Fato movimenta la corsa e dà una sberla a Corrieri. Il francese Decaux e Giovannino s’inventano una fuga di 250 chilometri. Corrieri è il più veloce. Ma fora due volte e Decaux arriva solo con 25’ sul gruppo.
Nella tappa che porta a Tolosa, a trenta chilometri dal traguardo, Bartali cade. Riporta forti contusioni al braccio e alla spalla. Binda lo aiuta a rialzarsi. Ferma tre uomini e lo fa rientrare. Dopo quaranta chilometri della Tolosa-Bagnères de Bigorre, prima tappa pirenaica, anche Magni fa una brutta caduta: oltre a varie abrasioni, si produce una ferita profonda all’avambraccio. Binda chiama l’ambulanza per farlo medicare. Ne approfittano i francesi. Alla prima curva del Peyresourde attaccano per liquidare in un colpo solo Magni e Bartali. Solo una foratura sull’Aspin, fa retrocedere Magni, che arriva al traguardo a 4’32” dal vincitore Geminiani.
Il giorno dopo c’è la Bagnères de Bigorre-Pau. È la prima tappa che viene teletrasmessa la sera in tutta la Francia. Coppi mostra la sua superiorità e regala alla Francia lo show. In maglia gialla passa primo sul Tourmalet. Non voleva farlo. Vicino alla vetta, aveva fatto un segno a Carrea, che era scattato nella nebbia. Voleva che il suo gregario passasse primo lassù, ma Stan Ockers lo aveva raggiunto di prepotenza. Allora Coppi era partito.
Racconta Fossati:
Ci parve che la sua bicicletta avesse in lato una vertiginosa discesa, non una salita. Carrea e Stan Ockers vennero saltati. Il vento gon ava lo striscione rosso del Tourmalet, quasi fosse una vela. Io scorgevo Coppi nello specchietto retrovisivo del motociclettone. Non era più un passista-arrampicatore, ma un pistard di alta scuola, uno di quelli aristocratici del muscolo che si issano alla balaustra e si gettano a tuffo, a pelo di corda. Coppi aveva scambiato il Tourmalet per la curva di un velodromo.
Sull’Aubisque Coppi concede il replay. Ockers fora e subito Robic e Dotto partono di scatto in un tornante tra gli abeti. Coppi li ingoia come fa la balena con le particelle di plancton. Passa solo, come Bottecchia un tempo. Si lancia come un falco nella discesa. Ma poi la ragione prevale sull’ebbrezza. Perché rischiare? Si rialza e viene raggiunto da Ruiz, Robic, Ockers e Bauvin, mentre Dotto aveva forato.
Bartali era scollinato a 4’ con Gelabert. Magni era più indietro, ma ora è lanciato in discesa a tomba aperta. Rimonta. La Forza Centrifuga, però, come una vecchia strega, lo attende su una curva. Ci sono dieci testimoni allineati come storni su filo. Il gomito di Magni li sfiora come una mazza vibrata. I dieci si salvano con un saltello all’indietro e finiscono con i piedi nel ruscello che scende dietro di loro. Ma il muro a secco successivo non si sposta. Magni si schianta con la sua bicicletta. In dieci lo soccorrono. Poi arriva Carrea che gli porge la ruota. Rumore di freni e di gomme che mordono la ghiaia ed ecco Pinella De Grandi, il medico delle biciclette. Magni ha una ferita al mento. Un filo di sangue gli scende sul collo. Ma scalpita. Pinella controlla i freni e lo rilancia. E Magni, come non fosse successo niente, riprende la rimonta. Raggiunge Bartali, Close e Gelabert. Solo sul piano accetta la spugna per togliere via il sangue ormai rappreso.
E davanti? A quindici chilometri da Pau attacca Bauvin e Coppi non si muove. Poi parte Ruiz e Coppi resta impassibile. Poi una salitella lo tenta. Fausto allunga. Lascia Robic e Ockers. Si beve Bauvin e Ruiz. Entra solo nel velodromo di Pau e, sul traguardo, conserva qualche secondo su quattro uomini: Ockers, Robic, Ruiz e Bauvin. Bartali e Magni arrivano a 4’13”. Così Bartali viene scavalcato da Robic e Ruiz e retrocede al quinto posto della classifica. L’Italia, però, balza in testa nella classi ca a squadre. «L’Équipe» definisce Coppi «Champion hors pair», «campione impareggiabile».
Ma prima del trionfo di Parigi Coppi deve entrare nella bocca di un vulcano. La prova del fuoco. Il 17 luglio il traguardo del Tour è un monte nuovo, il Puy de Dôme, 1464 metri, uno dei cento vulcani d’Alvernia. La châine des Puys è nata 70 mila anni fa con le prime eruzioni. Le ultime sono di ottomila anni fa. Ma i sismologi ritengono che i vulcani possano risvegliarsi da quel lungo sonno.
Il primo a risvegliarsi, in e effetti, è il Puy de Dôme, invaso da centomila spettatori. L’entusiasmo è lava pura. I fumi delle grigliate si alzano al cielo. E i tappi delle bottiglie di champagne sembrano lapilli. Sono tutti lì per Fostó Coppì. E fremono. Visto da lontano il Puy de Dôme sembra un leone accovacciato. La roccia che lo costituisce è la domite, che prende il nome dalla montagna. Una roccia biancastra che assomiglia al gesso. La natura l’ha coperta di verde. Fu qui che, a venticinque anni, Blaise Pascal provò l’esattezza della teoria di Evangelista Torricelli che sosteneva che l’acqua sale nelle pompe per la pressione atmosferica, non per l’horror vacui della natura, come diceva la teoria aristotelica. Pascal non salì sul monte, ma il 19 settembre 1648 mandò il cognato Florin Périer a fare tre misure a quote diverse e mostrò che c’è una corrispondenza tra altezza e pressione dell’aria.
Coppi si affida a Bartali per le misure sul Puy de Dôme. Bartali non ha ancora vinto in questo Tour. Alla vigilia Binda e Coppi concordano che è venuto il suo momento. Geminiani, che vive a Clermont-Ferrand e ritrova la montagna di casa, consiglia a Coppi, suo capitano alla Bianchi, di usare il 45×25. È proprio Geminiani ad attaccare a Chambon-sur-Lac. Lo seguono Bartali, Marinelli, Bauvin e Nolten. Bartali tira per tutto il Col de la Baraque. Geminiani non lo aiuta, perché dietro, a 1’25”, i suoi compagni lavorano per Robic. Sulle prime rampe del Puy de Dôme Marinelli e Bauvin cedono. Dietro, uno scatto di Robic è una provocazione per Coppi, che lo raggiunge con Ockers. Poi Fausto non insiste, pago di controllare la corsa. Intorno a lui si forma un gruppetto con Robic, Ockers, Marinelli, Bauvin, Ruiz e Gelabert, Carrea e Wagtmans. Robic scatta di nuovo e solo Coppi lo segue.
Davanti l’olandese Nolten è partito. Geminiani lo insegue a qualche decina di metri. Bartali è terzo, staccato. I distacchi tra i tre si allargano. A due chilometri dalla vetta è ormai chiaro che la vittoria di Bartali è impossibile. Allora Coppi scatta. Binda, a fine corsa, dirà perentorio: «Questo è il più grande Coppi che sia mai esistito». Coppi letteralmente vola. Salta Bartali. Salta Geminiani. Raggiunge Nolten a duecento metri dal traguardo. Uno spettacolo mai visto! Bartali, pungolato da Coppi, ritrova l’antico orgoglio. All’ultimo chilometro prende Geminiani, che gronda sudore, e lo inlza. Più indietro il naso a tagliacarte di Carrea tra gge Robic. È un trionfo italiano.
Coppi vince con 10” su Nolten, 31” su Bartali, 46” su Geminiani, 51” su Carrea, 1’13” su Robic. Ockers perde 2’33”, Magni 3’27”, Ruiz 3’44”, Close 4’26”. È la quinta vittoria di Coppi. Il suo vantaggio sul secondo, Ockers, è incredibile: 31’44”. Bartali scavalca Ruiz e risale al quarto posto della classifica. Imitando Pascal è Coppi a risolvere l’enigma del Puy de Dôme. Ne ha passate tante. Ma, ora, anche Coppi potrebbe dire: «Il y a plaisir d’être dans un vaisseau battu de l’orage lorsqu’on est assuré qu’il ne périra point», «è bello essere su un battello nella tempesta, quando si è certi che non sprofonderà».
Coppi potrebbe sgominare il campo nella cronometro Clermont-Ferrand-Vichy, 63 chilometri. Invece, ormai pago, la trasforma in passerella. Pedala in souplesse. Non una goccia di sudore. Lascia che i compagni di squadra vadano in cerca di gloria. Magni, invece, pedala con furia. Duella eramente con Ockers e, alla ne, lo piega per due secondi. Il magni co Carrea è terzo a 1’05”, Corrieri è quarto a 1’17”. Bartali, Robic e Ruiz lottano per il podio. Bartali lascia Robic a 1’41” e lo scavalca in classi ca per 11”. Ma lo spagnolo Bernardo Ruiz lo stacca di 1’45” e gli so a il podio.
Coppi entra a Parigi, scortato da Milano e Carrea. Sembra Napoleone dopo i Cento Giorni d’esilio all’Isola d’Elba. Vive il trionfo. Tutta Parigi esulta al suo passaggio. Il Parc des Princes è un immenso tamburo. C’è un coro solo, ritmato a piena gola: «Coppì! Coppì! Coppì ». Fausto vince il Tour con 28’17” su Ockers, 34’38” su Ruiz, 35’25” su Bartali, 35’36” su Robic, 38’25 su Magni. Carrea è nono a 50’20”. Coppi s’impone anche nel Gran Premio della Montagna con 92 punti, davanti a Gelabert, 69, e Robic, 60. L’Italia vince la classifica a squadre, davanti a Francia e Belgio.
Coppi realizza la seconda doppietta Giro-Tour che nessun’altro ha mai fatto. Ha smesso di essere un bersaglio prestigioso. È un monumento ormai. Saldo nella Storia. C’è la televisione. Il telecronista e regista Pierre Sabbagh – figlio del pittore Georges Sabbagh, di origini egiziane, e di Agnès Humbert – creatore del primo telegiornale francese (1949), la introduce sulle strade del Tour. Cameraman è Henri Persin. I commenti sono di Georges de Caunes. Con Coppi non ci poteva essere un inizio migliore per la tv. Fossati vede Coppi al Parc des Princes e scrive: «Fausto pareva fatto d’aria. La maglia di seta, l’ultima maglia gialla del Tour, gli disegnava le costole». Binda sottolinea la coesione della squadra: «Tre volte Magni ha passato la ruota a Coppi e una volta lo ha fatto Bartali».
“COPPI CONTRO BARTALI” di Claudio Gregori – Diarkos Editore
Dal romanzo “L’ORA DEL FAUSTO” di Mauro Colombo, Editore Ediciclo-Battiti
VII – Coppi e il Fantasma
Il campione era pronto per la grande sfida. Indossava calzoncini neri e la maglia verde oliva di lana della Legnano. Portava scarpini abbastanza sformati e il casco di cuoio imbottito di feltro già calcato sulla testa. Il suo ingresso in pista venne accolto dagli applausi di chi lo attendeva sul prato e del pubblico sulle gradinate. Dietro di lui come un’ombra, il fratello Serse dava il braccio a un uomo che portava occhiali dalle lenti nere e spesse e che camminava aiutandosi con un bastone.
L’Attilio non si perdeva un particolare della scena.
«Hai visto? Quello è Cavanna!» indicò all’Alfredo.
«Il massaggiatore cieco? Sì, l’ho visto…» confermò l’amico
«E quell’altro, più indietro, con la pipa in bocca e il basco sulla testa, è l’Avocatt…».
«L’Avocatt?» chiese l’Alfredo.
«Eberardo Pavesi, il direttore sportivo della Legnano… Non è mica un vero avvocato, sai? Da giovane è stato corridore pure lui: un furbo matricolato, abilissimo a fregare tutti… Anche adesso, quando studia le tattiche di gara a bordo del Norge, è un vero stratega. Per questo lo chiamano così…».
«E il Norge, cos’è?», domandò nuovamente l’Alfredo.
« È il mezzo d’assistenza della Legnano…» precisò l’altro. «È un macchinone, enorme, che quando passa per strada provoca folate di vento e solleva nuvole di polvere. Così gli hanno dato il nome del dirigibile con cui Nobile e Amundsen hanno sorvolato il Polo Nord… Cavanna odia salirci, perché in curva ondeggia parecchio: l’autista lo sa e si diverte ad accentuare il movimento, sbandando continuamente a destra e sinistra finché il pove- retto non dà di stomaco… Ma quando il Fausto o il Bartali vanno in fuga, il Norge è sempre dietro di loro, pronto a passare ruote, tubolari, pezzi di ricambio, cibo, acqua o medicinali, a seconda di ciò che serve in quel momento della corsa… Dal suo posto di comando l’Avocatt controlla tutto e urla ordini… Se c’è uno che può mettere d’accordo quei due è proprio lui. Almeno, finora c’è riuscito…».
«Cosa vuoi dire?» chiese l’Alfredo.
«È una situazione che non può durare a lungo» continuò l’Attilio. «Il Bartali è convinto di essere ancora il “capo” assoluto e vuole avere la squadra a sua completa disposizione. Ma se va avanti così il Fausto gli farà presto le scarpe…».
«Sì, come l’anno scorso nel Giro di Toscana, la corsa a cui il Gino tiene di più…» ribatté polemico il Cameroni. «Il Coppi doveva andare in fuga all’inizio per costringere gli avversari a inseguire, ma poi il finale sarebbe stato del Gino. E invece…».
«È mica colpa del Fausto se il Bartali non è riuscito a raggiungerlo!» puntualizzò l’Attilio.
«Sì, ma lui non l’ha aspettato!».
«Eh, già… Una corsa durissima, piena di salite, con un tempo infame, e il Fausto doveva pure rallentare per permettere al “signor capitano” di vincere! Se fosse stato davvero più forte, il Bartali avrebbe dovuto riprenderlo e staccarlo… E invece sai cos’è successo sul Saltino?» fece l’Attilio, rivolgendosi all’Alfredo.
«Cos’è il Saltino?».
«Una salitella breve, ma durissima, dalle parti di Firenze, tra il Valdarno e il Chianti. La pioggia l’aveva trasformata in un fiume di fango… Il Fausto ha fatto una fatica bestiale per arrivare fino in cima… Ma tutti gli altri, compreso il Bartali, sono scesi di sella e l’hanno fatta a piedi!».
«Comunque quel giorno il Coppi non è stato per niente leale…» insistette il Cameroni.
«Non è questione di lealtà» puntualizzò l’Attilio. «È la Legnano che, prima o poi, dovrà fare una scelta: non si è mai vista una squadra con due capitani. Anche i gregari avrebbero i loro problemi: dar retta all’uno o all’altro?».
«Due galli nello stesso pollaio non vanno mica bene, uno è di troppo» annuì il Gigio. «Anche la Scuderia Ferrari è nata all’interno dell’Alfa Romeo, come reparto corse della nostra marca, ma poi è diventata indipendente…».
«Vedrai» riprese l’Attilio, rivolto nuovamente all’Alfredo. «Quando la guerra finirà e si riprenderà a correre normalmente, uno dei due cambierà squadra…».
L’Attilio era veramente un divoratore famelico delle cronache sportive. “Come diavolo fa a sapere tutte queste cose?” pensò l’Alfredo, a cui l’ac- cenno alla Ferrari diede lo spunto per rivolgersi al Cameroni e intavolare una discussione sui “segreti” dei motori che uscivano dagli stabilimenti dell’Alfa Romeo.
A interromperli fu l’apparizione dell’altra protagonista attesa quel pomeriggio: la Legnano che Coppi avrebbe utilizzato per l’occasione. Il meccanico Bianchi portava la bicicletta all’impiedi, reggendola dal manubrio, con la ruota anteriore sollevata per aria. Raggiunta una panca, ce la mise sopra. Iniziò a far girare i cerchioni, esaminando di quando in quando la tensione dei raggi. Poi passò a controllare minuziosamente lo scorrimento della catena sulla moltiplica, lasciando cadere qualche goccia d’olio qua e là sugli ingranaggi. Nel frattempo i dirigenti, i tecnici e i corridori presenti sul prato si erano avvicinati a Coppi per salutarlo e augurargli buona fortuna per il suo tentativo.
«Chi è quel colosso con la tuta della Bianchi?» chiese l’Alfredo.
«È Fiorenzo Magni…» rispose l’Attilio.
«Lo conosco» intervenne il Gigio. «Un toscano, gran bel passista…».
«Proprio così» confermò l’Attilio. «Quest’anno ha vinto il Giro del Piemonte e due giorni fa ha migliorato il primato mondiale dei cinquanta chilometri. Dicono che presto proverà anche lui il record dell’ora…».
Dopo aver dato le ultime raccomandazioni al suo pupillo, Cavanna fu accompagnato sulla curva che conduceva al rettilineo finale: gli portarono una sedia e lì si sedette. A quel punto Coppi si fece consegnare la bicicletta da Bianchi. La soppesò a lungo con lo sguardo, come a chiederle il massimo impegno e la massima collaborazione per la prova che li attendeva di lì a poco. Tastò i tubolari per verificarne la pressione e finalmente salì in sella per effettuare qualche giro di riscaldamento.
Come aveva previsto Spinelli, col trascorrere dei minuti qualche decina di tifosi era comparsa sulle gradinate. Le presenze erano più fitte in prossimità delle curve, mentre nella parte centrale della tribuna un folto nugolo di spettatori era proprio quello costituito dall’Alfredo, dall’Attilio e dai meccanici dell’Alfa Romeo. Al passaggio del campione davanti ai tifosi il fruscio delle gomme sulla pista venne coperto dalle loro grida di incitamento.
«Coppi! Coppi! Coppi!».
«Dài! Dài! Dài!».
Coppi effettuò qualche giro a ritmo blando, poi aumentò progressivamente l’andatura. Infine lo chiamarono alla partenza. Lui si avvicinò alla linea e lì si fermò. Massara stava verificando il funzionamento del suo cronometro. Cattaneo, uno dei tre giudici di gara, aiutò il corridore a reggersi in equilibrio mentre stringeva l’allacciatura del casco e serrava i fermapiedi.
I preliminari di rito furono sbrigati in pochi minuti, mentre Coppi veniva bersagliato dagli scatti dei fotografi. Aveva l’espressione tesa e concentrata. Sorseggiò del caffè, poi alzò gli occhi verso il cielo che il vento aveva sgomberato dalla foschia del mattino e arricciò il naso.
«Chissà cosa starà pensando…» si interrogò l’Attilio.
«Facile!» ribatté il Gigio. «“Speriamo che nella prossima ora gli inglesi mi lascino in pace…”. Ma farà meglio a dimenticarsi della guerra e delle bombe e a preoccuparsi solo di andare più forte che può…».
«Ma se Coppi ha battuto Cinelli nel Campionato italiano di inseguimento, perché non porta la maglia tricolore?» chiese il Pasotti.
«Perché il record dell’ora non è una gara di inseguimento» precisò l’Attilio. «La maglia tricolore s’indossa solo nelle competizioni della specialità nella quale è stata conquistata…».
«Guardate piuttosto quante tasche: due davanti e tre dietro…» osservò il Cameroni. «Da che mondo è mondo, se uno ha così tante tasche, è per metterci dentro qualcosa… E se ci mette qualcosa, è perché poi ha intenzione di usarla… O no?».
«Ancora con questa storia…» sbuffò il Bosisio. «Se le “bombe” esistono veramente, gli altri corridori sono talmente fessi da non usarle anche loro?».
«Sarà, ma oggi è il Coppi a tentare il record, mica altri!» insistette Cameroni.
«Beh, se davvero c’è, questa “bomba”, speriamo che sia l’unica a “scoppiare” oggi pomeriggio…» ghignò il capo. La battuta, amara, fece comunque ridere tutti. In effetti nelle tasche Coppi aveva infilato qualcosa: una bottiglietta nella quale Cavanna aveva mescolato caffè, rosso d’uovo e zucchero e a cui aveva aggiunto cinque pasticche di simpamina. Il campione avrebbe potuto farvi ricorso nei momenti in cui si fosse eventualmente trovato in difficoltà. Intanto dal prato era avanzato un uomo massiccio, in giacca, panciotto e cravatta, che si portò al fianco del corridore.
«E quello chi è?» chiese l’Alfredo.
«Non lo conosco…» ammise l’Attilio.
«Ah, per una volta ti ho preso in castagna!» lo
derise bonariamente l’amico.
Prima che l’Attilio potesse ribattere, dalla fila
di sotto si udì una voce baritonale. «Lo conosco io!».
«Chi ha parlato?» si meravigliò il Gigio.
A quel punto il nuovo interlocutore si alzò e si voltò. Già oltre la sessantina, aveva i capelli imbrillantinati e pettinati con cura all’indietro. Sul risvolto della giacca faceva bella mostra di sé una completa esposizione di medaglie al valore.
«Perdonate la mia intrusione nella vostra conversazione» esordì con modi vagamente aristocratici. «Colonnello Faustino Moscheri! A riposo, naturalmente…» aggiunse, accompagnando quelle parole con un battito di tacchi in perfetto stile militare.
«Ci siamo…» fece sottovoce il capo. «Abbiamo beccato il veterano di guerra!». Ma non poté aggiungere altro perché il Pasotti gli rifilò immediatamente un calcetto sullo stinco. Se anche aveva udito il brontolio del Gigio, il colonnello Moscheri fece finta di non essersene accorto.
«Vi ho ascoltato mentre vi stavate interrogando sull’identità di quella persona, così mi permetto di informarvi…» riprese. «Si chiama Giovanni Cuniolo, tortonese come Coppi, ed è stato un campione del ciclismo agli inizi del Novecento…».
«Non l’ho mai sentito nominare» disse l’Alfredo. «E tu?».
«Nemmeno io…» confessò l’Attilio.
«Non datevene pena» continuò il colonnello. «In realtà è più conosciuto come “Manina”… Negli arrivi in volata, sapete, ne succedono di tutti i colori: spinte, scarti di direzione, trattenute di maglia… Anche Cuniolo si dava da fare, e non sempre in modo corretto… Ecco perché lo chiamavano “Manina”…».
«Un bel tipo, non c’è che dire…» si lasciò scappare ironicamente il Gigio.
«Non giudicatelo male» lo ammonì Moscheri. «Sarebbe ingiusto ricordarlo solo per la sua… astuzia, perché è stato un corridore davvero importante. Si può dire che il Giro di Lombardia sia nato per merito suo…».
«In che senso?» domandò l’Alfredo.
«Nei primi anni del secolo la stagione del ciclismo si concludeva con la Coppa del Re» prese a raccontare il colonnello. «Nel 1905 la vinse proprio Cuniolo, precedendo un certo Albini. Ma in quell’occasione, al posto delle gomme tradizionali, Cuniolo aveva montato sulla sua bicicletta un primo, rudimentale modello di tubolari… La squadra di Albini protestò, chiedendo la squalifica di “Manina”. Venne allora organizzata una rivincita tra i due, in tre prove, da disputarsi sulla pista del Trotter. Cuniolo ebbe nuovamente la meglio, ma il clan di Albini non volle riconoscere la sua superiorità: “Un conto è la strada, un altro la pista…” dicevano. Così, per far cessare la polemica una volta per tutte, in pochi giorni la Gazzetta dello Sport organizzò una nuova corsa: il Giro di Lombardia… Il bello è che Albini, influenzato, non poté correre e che Cuniolo fu battuto da Gerbi, il “Diavolo rosso”… Però “Manina” vinse la corsa nel 1909… E tra le sue imprese c’è pure un record dell’ora!».
«Davvero?» si stupì l’Attilio, affascinato da quel racconto.
«Record italiano, non mondiale» precisò Moscheri. «Nel 1906, al Trotter: trentanove chilometri e seicentocinquanta metri. Lo so perché in tribuna c’ero anch’io…».
Prima che il vecchio soldato potesse approfondire i suoi ricordi, lo speaker annunciò che il tentativo stava per avere inizio. Il colonnello si rimise seduto al suo posto e tutti fissarono Coppi alla partenza. L’Attilio scorse da lontano Spinelli e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Il giornalista fece un cenno d’intesa, confermandogli la promessa di tenerlo informato sull’andamento della prova. Così̀ tranquillizzato, anche l’Attilio si concentrò sul suo orologio. Le due erano trascorse da dodici minuti. Gli ultimi secondi d’attesa furono scanditi dal conto alla rovescia, che Massara declamò con tono da oratore.
«Cinque, quattro, tre, due, uno…».
Al «Via!» Cattaneo ritrasse le braccia e lasciò libero Coppi. Il campione si alzò dalla sella e si mise in movimento. In piedi sui pedali, ondeggiò con le spalle per qualche decina di metri, acquistando gradualmente velocità. Poi si risedette sul sellino, alla ricerca di un ritmo sostenuto e al tempo stesso regolare. Fin dalle prime pedalate il suo sforzo venne accompagnato dalle urla dei tifosi.
Al termine del primo giro l’Attilio fissò il suo quadrante: trentatré secondi. Poi cercò Spinelli, giù nel prato, e il giornalista, come se fosse stato attirato telepaticamente, alzò a sua volta gli occhi verso la tribuna. Quando i loro sguardi s’incontrarono, Spinelli fece due segni con le dita: prima incrociò i due indici, poi alzò da solo il destro.
«Un secondo! Il Fausto ha guadagnato un secondo!» esultò l’Attilio comunicando la notizia agli altri, che la accolsero come un buon auspicio.
Nei primi dieci giri Coppi si mantenne costantemente in vantaggio sui tempi impiegati da Archambaud nel 1937. Perfettamente composto sul telaio, pareva pedalare col righello: sui rettilinei la sua bicicletta non sgarrava di un millimetro rispetto alla traiettoria ideale. E disegnava le curve col compasso: la ruota anteriore sfiorava appena i sacchetti di sabbia, senza toccarli, e se li lasciava alle spalle. Dimostrava davvero tutta la dimestichezza con la pista acquisita grazie ai numerosi confronti sostenuti contro gli specialisti delle gare di inseguimento.
Ma era partito forte, forse troppo, considerate le raccomandazioni ricevute da Cavanna. Per quanto, nella sua ancora breve carriera, Coppi avesse dimostrato di cavarsela bene nelle prove a cronometro, al cospetto di un tentativo di record dell’ora rimaneva pur sempre un neofita. E la sua inesperienza aveva determinato quell’inizio eccessivamente veloce: non poteva proseguire a lungo su quel ritmo.
Al passaggio ai cinque chilometri Spinelli scosse la testa e fece un segno all’Attilio: sei minuti e mezzo. Coppi era in ritardo di sette secon- di rispetto alla tabella di marcia prestabilita e, quel che era più preoccupante, aveva praticamente perso il vantaggio accumulato fin lì su Archambaud. Ai dieci chilometri il giubilo che aveva animato la tribuna all’inizio del tentativo si era dissolto: tredici minuti e tre secondi, il ritardo di Coppi era salito a dodici secondi. Perdeva terreno giro dopo giro, chilometro dopo chilometro, e la campana segnalava un aumento dello svantaggio rispetto al francese.
«Non è sciolto, fa troppa fatica…» recriminò il Gigio.
«Ricordate quello che ha detto il giornalista?» rammentò l’Attilio, che rimaneva fiducioso. «Il Fausto sta usando un rapporto più duro di quelli utilizzati in tutti i tentativi precedenti… È logico che soffra e fatichi… Ma vedrete che alla lunga questa tattica darà i suoi frutti!».
Quasi a smentire quella speranza, il responso del quarantesimo giro vide il vantaggio di Archambaud salire oltre i cinque secondi. In effetti Coppi sembrava avere smarrito la regolarità nella sua pedalata. Procedeva a strappi, con sgroppate furiose che portavano a brusche accelerazioni; ma il beneficio cronometrico che ne ricavava era solo momentaneo, perché poi doveva rallentare per recuperare il fiato e le forze.
A ogni passaggio Massara rilevava il tempo col suo cronometro. Issato sopra una specie di trabiccolo, Carapezzi agitava il batacchio della campana, fornendo a Coppi la misura di riferimento, mentre i cronisti riempivano di cifre e statistiche i loro taccuini. Da quella varia umanità che si agitava convulsamente nel prato gli spettatori in tribuna cercavano di cogliere segnali circa l’esito del tentativo. E non facevano venire meno il loro sostegno al campione.
«Allez, Fausto! Dài! Dài! Dài!».
Nel coro spiccava naturalmente la voce potente del Gigio, ma l’Attilio non sfigurava al confronto: con addosso la tuta da meccanico, scarmigliato e affannato, non aveva più molto dello studente modello. I più distaccati erano decisamente i due “bartaliani”, l’Alfredo e il Cameroni. Si distraevano a discutere dei dettagli di alcuni modelli dell’Alfa senza prendere troppo a cuore la faccenda del record: se Coppi avesse migliorato il primato, buon per lui; altrimenti, sai il Gino che risate… La mente dell’Alfredo, poi, era già occupata dal pensiero del ritorno a casa, con tutte le insidie che potevano attendere lui e l’Attilio lungo la strada verso Lesmo.
Al passaggio ai venti chilometri la situazione era praticamente immutata: per Coppi 26’08” contro i previsti 25’57”, col vantaggio di Archambaud che si manteneva costante sui cinque secondi.
«Sarà anche una tattica, come dici tu, ma io non la vedo mica tanto bene…» rilevò cupamente il Gigio.
Non sapendo cosa replicare, l’Attilio si alzò in piedi e urlò tutto il suo incitamento.
«Faustoooo! Dài, forzaaaa!».
«Coppi ce la farà» intervenne serafico il colonnello Moscheri. «Si chiama come me e, a quanto ne so, non si è mai visto un Fausto che non raggiunge il risultato che si è prefisso…».
L’affermazione del vecchio soldato, più scaramantica che tecnica, strappò a tutti un sorriso.
Loro non potevano immaginarlo, ma a Coppi pareva di vederlo, Archambaud, proprio lì sulla pista. Sapeva che non era possibile, che in quel momento il detentore del primato si trovava chissà dove in Francia. Eppure lo vedeva nitidamente. Fosse davvero Archambaud, oppure il suo fantasma, eccolo là a pedalare appena qualche metro avanti a lui. Coppi cercava in tutti i modi di raggiungerlo e di superarlo, ma non ci riusciva. E più si sforzava, più l’altro sembrava inafferrabile. In certi momenti, anzi, aveva l’impressione che il francese si voltasse all’indietro e gli rivolgesse un ghigno di derisione.
Al quarantottesimo giro un nuovo riscontro cronometrico smorzò ulteriormente l’incitamento del pubblico; il vantaggio del detentore sullo sfidante era ancora aumentato: adesso era di sei secondi. Alla mezz’ora esatta Alfonso Spinelli guardò nuovamente verso la tribuna e all’Attilio mostrò la mano destra chiusa a pugno, col pollice voltato all’ingiù. A metà del tentativo Coppi aveva percorso ventidue chilometri e novecentoqua- rantasei metri, contro i ventitré chilometri e sette metri del rivale e i ventitré chilometri e cinquantanove metri previsti dalla sua tabella di marcia. In quello strano duello a distanza nel tempo, stava vincendo il fantasma di Archambaud.
VIII – Trentuno metri
La notizia si abbatté sul pubblico come una doccia gelata. Tacquero i cori, si placarono i battimani e tra gli spettatori serpeggiarono mormorii di scetticismo. Iniziava a farsi strada il dubbio che, malgrado il suo impegno, Coppi si stesse battendo inutilmente e che il tentativo potesse risolversi in un fallimento.
Per qualche decina di secondi l’unico suono ad accompagnare l’incedere del corridore rimase la campana con cui Carapezzi, a malincuore, denunciava il suo ritardo. Un segnale che Spinelli trasmetteva tempestivamente a grandi gesti in tribuna, provocando lo scoramento dei tifosi. Nessuno di loro, però, accennò minimamente ad andarsene. Sarebbero rimasti a soffrire e a fatica- re con Coppi fino alla fine, gioendo o imprecando a seconda dell’esito della coraggiosa sfida lanciata ad Archambaud. Nel silenzio innaturale calato sul Vigorelli improvvisamente si levò una voce isolata, ma imperiosa.
«Fausto, non puoi fallire! Devi assolutamente battere il record, per l’Italia e per il Duce!».
Quell’incitamento, giù nel prato, era stato lanciato da Emilio Colombo, l’ex direttore della Gazzetta.
«Ecco, ci mancava solamente un fascistone a dire la sua!» imprecò il Gigio.
«Cosa intendete dire? Avete qualcosa in contrario a che si nomini il nostro Duce?» domandò a quel punto un altro spettatore seduto poco lontano da loro.
«Sicuro! Ho da dire che se Coppi riuscirà a fare il record, non sarà certamente nel nome di Benito Mussolini…» rispose il capo, risentito.
«Siete un meccanico dell’Alfa Romeo, vero?» chiese l’altro, notando il quadrifoglio sulla tuta del Gigio. «E pensare che tutti voi dovreste essergli riconoscenti, al Duce! Se Mussolini non avesse inventato l’IRI, la vostra ditta sarebbe chiusa da un pezzo! Senza contare che Archambaud è francese e i francesi sono nostri nemici…».
A quel punto il Bosisio partì lancia in resta.
«Beh, se proprio volete saperlo, no, non gli devo proprio un bel niente, a Mussolini, visto che la paga me la sudo tutti i giorni col mio lavoro in fabbrica! E visto che parlate di nemici, vi dirò anche questo: se vinceremo la guerra, e non lo credo, non sarà per merito del “pelatone”, ma di quei poveri diavoli che lui ha mandato a morire in giro per il mondo!» aggiunse con tono cupo.
«Cosa siete voi, uno di quei disfattisti che non amano la nostra patria? Un nemico del Regno e dell’Impero? Un comunista, magari…» lo apostrofò polemicamente l’altro.
Esasperato, il Gigio balzò in piedi come una furia, dispostissimo a passare alle vie di fatto. Ma si trovò improvvisamente davanti un gigante non meno imponente di lui.
«Basta, smettetela!» intervenne vivacemente l’Alfredo. «Questo non è il posto né il momento per fare politica… Siamo qui per lo sport e per vedere Coppi, no? E allora lasciamo da parte Mussolini, il fascismo e la guerra!».
Il Gigio non era abituato a essere contraddetto, tantomeno contrastato. Soprattutto in presenza dei suoi compagni di lavoro, verso i quali non mancava di esercitare la sua autorità di caporeparto: in fabbrica, ma anche fuori, per loro era uno specie di semidio. Solo il Pasotti, in virtù dell’età
e dell’anzianità di servizio, era autorizzato a prendersi ogni tanto qualche licenza nei suoi confronti. Il Bosisio fissò l’Alfredo, ma quello non distolse lo sguardo. Anzi proseguì, abbassando la voce in modo da farsi udire solo da lui, senza tuttavia modificare il tono, che rimase perentorio.
«Ricordatevi qual è la situazione mia e dell’Attilio! Non è proprio il caso di attirare l’attenzione dei fascisti… Volete cacciarci nei guai?».
Il Gigio continuò a guardarlo torvo per alcuni istanti. Ma l’espressione negli occhi dell’Alfredo era talmente risoluta da costringerlo a rimettersi seduto e a limitarsi a borbottare qualcosa di incomprensibile. Quanto allo spettatore di sicura fede fascista, rimase in piedi ancora qualche istante. L’Attilio lo osservò, temendo che lasciasse la tribuna per andare a chiamare rinforzi. L’altro invece, consapevole di essersela cavata tutto sommato a buon mercato, e senz’altro più interessato al tentativo di Coppi, tornò a sedere senza aggiungere altro.
«Bravo, hai fatto bene a metterti in mezzo a quelle due teste calde…» disse l’Attilio all’Alfredo quando anche lui tornò al suo posto.
«Se c’è una cosa che mi manda in bestia è il buttare tutto in politica, miseria ladra!» concluse l’Alfredo.
In pista, intanto, Coppi proseguiva il suo personale duello col Fantasma. Dopo sessanta giri aveva ancora più di quattro secondi di svantaggio. Lui non ne faceva una questione politica, certo, ma non voleva ugualmente darla vinta ad Archambaud. Stava facendo appello a tutte le sue risorse fisiche e morali, anche a costo di sacrificare lo stile che gli era caratteristico: la sua figura, solitamente un esempio di eleganza in bicicletta, aveva perso la compostezza mantenuta nei primi giri per privilegiare l’efficacia della pedalata. Ma a giri superbi ne alternava altri meno esaltanti e il Fantasma continuava a precederlo. Non di molto – al punto che talvolta Coppi aveva la sensazione di poterlo agguantare per la maglia, fermarlo e superarlo –, ma di quel tanto che era sufficiente per restare al momento irraggiungibile.
In quell’esatto frangente Cavanna “captò” le difficoltà di Coppi. Immerso nel buio dei suoi occhi, il massaggiatore poteva misurare meglio di chiunque altro la dimensione irreale di una sfida lanciata a un nemico invisibile. In quell’ora senza fine, per Cavanna Coppi era solo il fruscio di una ruota: più nitido quando gli passava davanti sulla curva, più sfumato quando si allontanava lungo la pista. Ma quella percezione gli era sufficiente per comprendere che Coppi aveva bisogno di aiuto. Si fece portare un megafono e invitò gli spettatori a incoraggiare il campione.
«Dài, Fausto! Dài! Dài! Dài!».
L’Attilio lo indicò agli altri.
«Guardate Cavanna! Guardate Cavanna! Ha capito che è il momento decisivo…».
«Ma se è cieco, dài!» lo rimproverò l’Alfredo.
«Come fa a sapere cosa sta combinando il Coppi?».
«Non ci vede, sì, ma certe cose le capisce meglio di me e di te messi assieme, credimi! Per prima cosa, non è mica cieco dalla nascita… In gioventù ha fatto molto sport, prima il pugilato e poi il ciclismo. È di Novi Ligure, come Girardengo: è stato avversario e compagno del “Gira” e poi è diventato il suo massaggiatore. Dopo di lui ha assistito anche Learco Guerra… Ha perso la vista intorno ai quarant’anni, a causa di un incidente: si trovava in una stazione, quando è stato colpito da frammenti di carbone ardente schizzati dalla rotaia di un treno, che nel giro di pochi mesi gli hanno “bruciato” tutti e due gli occhi…» concluse l’Attilio, ricalandosi subito nel suo ruolo di capo-claque della tribuna.
Mentre Cavanna lo incitava, Coppi tirò fuori dalla tasca anteriore della maglia la bottiglietta preparata dal cieco e buttò giù una sorsata.
«Avete visto?» urlò il Cameroni. «Cosa vi avevo detto?» aggiunse soddisfatto.
«Ma chi se ne frega!» ribattè il Gigio. «Se serve al Fausto a fare il record, ben venga anche la “bomba”!».
«Giusto!» approvò l’Attilio.
«Sai di cosa avrebbe bisogno, piuttosto?» chiese il Cameroni. «Della grinta del Bartali!».
L’iniziativa di Cavanna produsse l’effetto desiderato. Coppi sentì nuove energie fluire dentro di sé e tornò a produrre il massimo sforzo. Dal settantesimo giro, metro dopo metro, iniziò a limare il ritardo da Archambaud, arrivando a due secondi di distacco dal tempo del francese. Nelle tornate successive Coppi incrementò ulteriormente l’andatura. Lui e il Fantasma procedevano ormai sulla stessa linea, appaiati. Qualche istante dopo, all’ottantesimo giro, il suono della campana lo confermò: i due rivali erano praticamente alla pari. E al termine dell’ottantaquattresimo giro il pollice che Spinelli mostrò all’Attilio tornò a voltarsi all’insù: ora era Coppi ad avere due secondi di vantaggio.
«È in testa! Il Fausto è tornato in testa!» urlò l’Attilio. «Ve l’avevo detto, quel ritardo accumulato all’inizio era strategico… Adesso il rapporto farà la differenza!».
«Vacci piano, a cantar vittoria» lo ammonì l’Alfredo. «Non è ancora finita…».
L’Alfredo proprio non riusciva a condividere l’eccitazione dell’amico. Stava pensando alla Rosetta. Si era reso conto di non averle detto nulla di quella sua avventura milanese con l’Attilio. In quel momento, probabilmente, lei lo stava immaginando al lavoro nei campi, al sicuro, non certo a pochi metri da soldati e fascisti che potevano arrestarlo. Si sorprese a constatare che gli pesava averle nascosto quella pazzia: tra loro due non dovevano esserci segreti.
“Glielo spiegherò domani, quando la porterò alla messa…”, pensò, per quanto lo angustiasse la promessa che lei gli aveva strappato. E si sorprese ancor più nel notare alcune analogie tra la sua condizione e quella di Coppi. Da circa quaranta minuti il campione si era imbarcato in quell’av- ventura del record, e quando era partito sapeva che non avrebbe potuto fermarsi o tornare indietro… Anche l’Alfredo, con la Rosetta, quella mat- tina era arrivato a una svolta. Non poteva ignorarlo e sapeva di non potersi più fermare. Non gli sarebbe spiaciuto divertirsi ancora un po’, prima di prendersi impegni seri; ma ormai era in ballo e doveva ballare. Sentiva che doveva andare fino in fondo. Proprio come Coppi, nei confronti del quale ora iniziava a provare una certa solidarietà…
Ad arrivare fino in fondo, Coppi ci stava provando, con tutte le sue forze. Stava correndo ormai da tre quarti d’ora. Aveva percorso circa trentacinque chilometri ed era ancora in sostanziale parità con Archambaud. Procedeva determinato verso il momento chiave della sfida. Ma una nuova insidia giunse a parargli la strada: un vento gelido e insistente iniziò a spirare in senso contrario, ostacolando la sua marcia. Coppi sentì le gambe farsi più dure e la bicicletta diventare più pesante, mentre la pista gli parve di colpo allungarsi a dismisura.
In tribuna avvertirono subito la sua difficoltà. «Pure il vento ci voleva…» recriminò l’Attilio. «Proprio adesso che manca così poco!» aggiunse il Gigio.
«Non gliene va bene una, a quel ragazzo…»
osservò il Pasotti.
«Cos’è quella faccia da funerale?» l’Alfredo
redarguì l’Attilio. «Non mi avrai mica fatto venire fin qui per niente? Forza, fatti sentire!».
E fu lui, stavolta, a dare il “la” all’incitamento, spezzando il nome di Coppi in tre sillabe ritmate e cadenzate.
«Fa-u-sto! Fa-u-sto! Fa-u-sto!».
Per un attimo gli altri rimasero meravigliati, poi aggiunsero le loro voci a formare il coro.
Ma in pista Coppi udiva quelle grida molto lontane. Stava scontando pesantemente le conseguenze dell’utilizzo del grosso rapporto e della partenza accelerata. E poi avvertiva molta compagnia sgradevole intorno a sé: il fantasma beffardo di Archambaud; l’ombra minacciosa della “cotta” che gli faceva asciugare la gola e rimbombare le orecchie; il vento maledetto che gli soffiava in faccia; e la campana che lo faceva trasalire a ogni rintocco, positivo o negativo che fosse. Pensieri nefasti gli affollavano la mente.
“Ma chi me l’ha fatto fare?” si chiese. “Correre da solo per un’ora in pista contro un fantasma è una pazzia! Niente a che vedere con una cronometro su strada… Tutti a dirmi: pensaci, Fausto, tenta, ci puoi riuscire! Ci provino loro, a fare tutta questa fatica! Una cosa è certa: comunque vada a finire, record o non record, questa è la prima e l’ultima volta che mi lascio convincere a fare una cosa del genere… Mai più!”.
Era un dialogo interiore in cui Coppi cercava, se non una risposta, quantomeno una giustificazione.
“Certo, meglio correre dietro un fantasma che farsi sparare addosso da nemici reali! Speriamo che serva almeno a evitarmi di finire al fronte… Il mio colonnello è un fanatico, ma se mi presento in caserma fresco di record mondiale, forse ce la faccio a convincerlo a non mandarmi in prima linea… Non mi entusiasma passare per ‘imboscato’ solo perché me la cavo bene in bicicletta. Ma c’è già il Livio inguaiato in Russia, e in famiglia ne basta uno…”.
Cercava di resistere alla fatica: in un giro guadagnava metri preziosi, che poi perdeva in quello successivo. Alla novantacinquesima tornata, dopo aver superato un altro momento di difficoltà, si ritrovò con due secondi di vantaggio; alla centounesima – che equivaleva a una distanza percorsa di quaranta chilometri – solo uno. Il Fantasma era dietro, ma tutt’altro che a margini di sicurezza. Nella sua immaginazione era Archambaud, adesso, a cercare di afferrarlo per la maglia, per rallentarlo e frenarlo. Il rivale pareva aver stretto un’alleanza con tutti i nemici di Coppi – la stanchezza, il vento, la crisi… – ed era pronto ad approfittare di ogni sua minima défaillance. E infatti ecco il francese raggiungerlo al centoduesimo giro, quando allo scadere dell’ora non mancavano ormai che sette minuti, poi rimettere la sua ruota più avanti al centotreesimo e guadagnare un altro secondo a quello successivo.
Anche gli spettatori erano logorati da quell’altalena di emozioni, che li proiettava di volta in volta dalla speranza alla delusione e viceversa. Sotto la spinta del megafono di Cavanna, molti di loro si levarono in piedi. Coppi si affidò alle estreme energie rimastegli e si alzò sulla sella aumentando la frequenza delle pedalate per la “sparata” finale, da effettuare quasi a ritmo di sprint.
Al centodecimo giro tornò in vantaggio di poco più di un secondo. Erano ormai gli ultimi minuti della prova, che scorrevano sui cronometri e nei suoi muscoli, lungo le sue vene, dentro la sua testa. Cinquantasei, cinquantasette, cinquantotto… A centoventi secondi dal termine Coppi ne riprese due di vantaggio. Cinquantanove minuti… Era al limite delle sue possibilità fisiche e nervose. Si raccolse ancor più sul telaio, per ridurre al minimo la massa corporea da offrire alla resistenza del vento. Abbassò la testa sul manubrio e strinse rabbiosamente le manopole. Sembrava uno di quei fantini che, giunti alle ultime decine di metri prima del traguardo, si chinano sul collo del loro destriero per spronarlo o pregarlo a compiere lo sforzo estremo. Nel suo genere, anche la Legnano era un purosangue, anche se era fatta di metallo e di gomma, e non di carne e ossa. E per fortuna non aveva bisogno della frusta…
Coppi aveva percorso poco più di centoquindici giri della pista del Vigorelli quando tre rintocchi consecutivi della campana di Carapezzi annunciarono lo scoccare dell’ora. Incredibilmente, però, il corridore non diede cenno di volersi fermare. Non rallentò neppure l’andatura, ma proseguì alla stessa velocità.
«Ma è impazzito?» si chiese il Gigio.
«Forse non ha sentito la campana, non si è accorto di aver concluso l’ora…» ipotizzò l’Attilio. In realtà, prima ancora di conoscere l’esito finale del tentativo, Coppi aveva deciso di proseguire per arrivare al successivo traguardo dei cinquanta chilometri, cercando di migliorare anche quel primato. Ma allo scadere dell’ora Massara aveva puntualmente bloccato il suo cronometro per evitare errori e confusioni. La gente nel prato non comprese il proposito di Coppi e gli corse incontro a bordo pista, finendo per rallentare e poi arrestare la sua marcia. A quel punto alcuni incaricati lo sorressero mentre scendeva faticosamente dalla bicicletta.
Tutti gli sguardi allora si rivolsero verso il crocchio del cronometrista e del giudice di gara, impegnati negli ultimi controlli, in attesa del responso finale.
«Speriamo bene…» mormorò l’Attilio, trattenendo il fiato.
«Tranquillo, vedrai che ha fatto il record…» lo rassicurò il Gigio. «Me lo sento…».
«Lo penso anch’io» confermò l’Alfredo. «E tutto sommato non mi dispiacerebbe, anche se poi mi toccherà pagare da bere…».
Per quanto limitata a pochi minuti, l’attesa fu snervante. Il verdetto fu comunicato in un silenzio quasi sacrale.
«Distanza complessiva percorsa da Fausto Coppi: quarantacinque chilometri e ottocentosettantuno metri… Nuovo record mondiale dell’ora!».
Coppi ce l’aveva fatta. Per un soffio non era riuscito a rispettare la sua tabella di marcia, ma alla fine aveva staccato Archambaud di trentuno metri. Aveva sconfitto il Fantasma.
“L’ORA DEL FAUSTO” di Mauro Colombo – Ediciclo Editore/Battiti